(AUDIO) Valeria, infermiera a Bergamo: “Una guerra. Ho visto scene che non dimenticherò. Restate a casa”

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Si chiama Valeria Palma, fa l’infermiera ed ha 27 anni. Da circa un mese è stata trasferita da ginecologia al reparto di terapia intensiva dell’ospedale Papa Giovanni XXIII° di Bergamo.
Valentina è uno di quei sanitari in prima linea nella lotta al Covid-19, che nella bergamasca ha colpito come uno tsunami, provocando centinaia e centinaia di morti. “Un mese fa sembrava di stare in guerra” racconta a Radio Sieve (in fondo all’articolo l’intervista audio, ndr). I dati di questi giorni fanno respirare un po’, il peggio sembra essere ormai alle spalle, ma abbassare la guardia ora potrebbe essere fatale: “Se adesso iniziassimo ad uscire di più potrebbe voler dire ritornare indietro di un mese”, ammonisce preoccupata.
Diciassette minuti al telefono con Valentina e subito ti cali in quel reparto, capisci cosa vuol dire lavorare nell’occhio del ciclone, tra tanti, troppi, pazienti che non ce l’hanno fatta: “Sto pensando a delle scene che ho visto e che non dimenticherò. Mi viene male, c’erano tante persone che avevano bisogno di cure e… Mi dispiace perché abbiamo fatto tutto il possibile…”. Qui l’intervista si interrompe per un po’. L’emozione, forte, che arriva dall’altro capo del telefono. Le lacrime che scendono, brutti ricordi che ritornano alla mente e che saranno difficili da cancellare. Un pensiero fisso, che ti porti fino a casa e che non ti abbandona, neanche quando cerchi di pensare ad altro. La paura del contagio, il timore di contrarre il virus, di trasmetterlo a chi ti vuole bene, ai tuoi figli, ai tuoi parenti.

Qual è la situazione che avete vissuto in ospedale in queste settimane?
Io sono stata trasferita a terapia intensiva a metà marzo, ma tanti miei colleghi stanno affrontando l’emergenza dall’inizio di febbraio. Soprattutto i primi giorni del mese scorso la situazione era drammatica. Mancavano i dispositivi di protezione, pazienti che arrivavano drammaticamente in gran numero e che avevano bisogno di cure. La situazione negli ultimi giorni è pian piano migliorata sul fronte degli accessi. Se ripenso ad un mese fa sembrava proprio di stare in guerra.

Quando è arrivato lo tsunami del Covid-19 cosa avete pensato?
Io all’inizio dicevo ‘stiamo calmi’, ‘non esageriamo’. Io come altri. E’ lì che forse abbiamo sbagliato. La situazione è stata sottovalutata e quando mi sono ritrovata in prima linea mi domandavo come avevamo fatto a non rendercene conto. Passavo nei pronto soccorso e vedevo file di barelle piene di pazienti in attesa di cure, ma tutte le risorse erano impiegate. Abbiamo creato posti Covid che prima non c’erano. Non finiva mai. Al ritorno a casa il pensiero fisso all’emergenza era sempre addosso, con l’ansa e paura nei confronti di possibili contagi ai parenti. Io convivo con il mio ragazzo, che è giovane, ma tanti miei colleghi con i figli piccoli erano terrorizzati di ciò che poteva accadere.
Una coppia di colleghi infermieri che conosco, che lavorano in reparto Covid ed in pronto soccorso, ha lasciato i bambini dai nonni, con il timore che l’infezione arrivasse agli uni e agli altri. E’ stato uno stress emotivo non indifferente per tutti.

La definizione di eroi nei confronti di infermieri e medici le piace o le fa rabbia?
Personalmente mi fa rabbia, perché noi stiamo facendo esattamente quello che abbiamo sempre fatto. Con più paura indubbiamente, perché con questo virus non si scherza.
Da anni c’è sempre meno riconoscimento a livello sociale riguardo al lavoro che svolgiamo, ma noi ci abbiamo sempre messo il 100%. Se penso al mio gruppo infermieristico non c’è una persona tra loro che non tenga a questo lavoro, che viene portato avanti con i giusti valori. Mi viene da domandare: perché fino ad adesso non ve ne siete mai accorti? Dall’altro lato va anche detto che tutto ciò fa piacere, anche se c’è voluto del tempo per riconoscere l’importanza di quello che facciamo quotidianamente, medici e infermieri.

Ha paura che possa ripartire il contagio con il possibile allentamento delle misure?
Da quando qualche miglioramento nei dati c’è stato vedo più persone in giro. Esco per andare al lavoro o per fare la spesa e non è solo il bel tempo ad invogliare la gente. Le persone secondo me stanno iniziando a pensare che il quadro sta migliorando e che si può quindi uscire di più. Se adesso iniziassimo a farlo in modo maggiore potremmo ritornare indietro di un mese. Non è finito ancora niente. Sto ripensando a delle scene che ho visto in ospedale e mi viene male. C’erano tante persone che avevano bisogno di cure e… (piange, ndr). Mi dispiace perché abbiamo fatto tutto il possibile…

La Toscana non è stata coinvolta dal Coronavirus in modo massiccio come la Lombardia. Vuoi fare comunque un appello? Cosa ti senti di dire a chi ci ascolta?
Non sottovalutate nulla. Uscite solo se necessario e state a casa. E’ l’unico modo per sopravvivere. Può sembrare una banale ripetizione, ma è così. Proteggiamo gli anziani, perché sono i più fragili, come gli immunodepressi.

Che idea ti sei fatta sul contagio che si è sviluppato in particolare in alcune aree tra Codogno, il Lodigiano, la Bergamasca e Vo’ Euganeo?
Mi sono fatta l’idea che questo virus circolasse da tempo. C’erano state infatti molte polmoniti a febbraio. Il Covid è molto contagioso, quindi credo che inconsapevolmente abbiamo fatto sì che si diffondesse. Pensiamo ai luoghi o ai mestieri che comportano affluenza di persone e contatto con gli altri: i supermercati, i corrieri… La diffusione è rapidissima. Senza contare quello che è accaduto nelle RSA, con tantissimi casi di positività e deceduti tra gli anziani. Gli operatori che lavorano in quelle strutture si sono spostati all’esterno, a fare la spesa, dai parenti, comportando una diffusione a macchia d’olio.

Come pensi si siano comportati gli altri Paesi? Anche loro hanno sbagliato e sottovalutato il virus?
Io ho fatto l’Erasmus nel 2015 a Valencia. A inizio marzo c’è una festa che porta migliaia di persone in strada. Ripetevo al mio ragazzo che mentre qui a Bergamo combattevamo lo tsunami Covid e vedevamo morire tantissime persone lì stavano ancora affollando le piazze.
Non si rendevano conto di quello che stava accadendo in Italia. Stessa cosa per chi al sud continuava a passeggiare sul lungomare. E’ come se la gente non si fidasse di quello che stava realmente accadendo. La situazione è stata sottovalutata dall’Italia come in seguito dagli altri Paesi.

Ascolta l’intervista realizzata da Stefano Galli

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