Riascolta “La Rosa Dei Venti” – “La società che cambia”

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Riascolta “La Rosa Dei Venti”
In questa puntata abbiamo parlato della “società che cambia”

La classe operaia non c’è più. Ce ne siamo accorti già da tempo, ma se l’Istat lo certifica ufficialmente, la notizia fa più effetto.

È la nostra società che cambia. E se la classe operaia manca all’appello, anche il ceto medio si fa fatica a riconoscerlo.

Osservando la fotografia del nostro Paese scattata nel Rapporto annuale 2017 dell’istituto nazionale di statistica, nella società italiana si notano molti cambiamenti ma anche notevoli scenari congelati, cristallizzati: ad esempio la mobilità sociale risulta bloccata, nel senso che i figli della classe dirigente diventano classe dirigente, i figli dei laureati diventano laureati, gli altri lasciano la scuola giovani. E intanto le disuguaglianze aumentano, spesso a causa delle differenze nei redditi. Queste disuguaglianze non sono più solo tra le diverse classi sociali, ma ci sono sostanziali differenze di reddito anche all’interno della stessa categoria professionale.

Il lavoro si polarizza: scompaiono le professioni intermedie, aumenta l’occupazione nelle professioni non qualificate, si riducono operai e artigiani.

Tra le famiglie con minori disponibilità economiche pesano di più le spese destinate al soddisfacimento dei bisogni primari (alimentari e abitazione), mentre le famiglie più ricche, che sono poi anche quelle con un maggiore livello d’istruzione, spendono anche per servizi ricreativi, spettacoli e cultura e in alberghi e ristoranti. Le famiglie meno abbienti sono soprattutto quelle con componenti giovani o stranieri.

Purtroppo tra i cambiamenti sociali più preoccupanti si conferma l’aumento della povertà: continua a crescere l’indicatore di grave deprivazione materiale: in difficoltà soprattutto le famiglie di stranieri, con disoccupati, oppure occupati part-time, specialmente con figli minori. La povertà assoluta in Italia riguarda 1 milione e 600mila persone, 6 famiglie su 100. Però se si considerano gli individui invece dei nuclei familiari, il dato appare ancora più grave: il 7,6%degli italiani è in stato di povertà assoluta. E questa quota rischia di aumentare, se si considera che il 28,7% della popolazione italiana è a rischio di povertà o esclusione.

3 milioni e mezzo di famiglie risultano senza redditi da lavoro.

Intanto nel nostro Paese continuano a diminuire i giovani: se si considera la fascia di età tra i 18 e i 34 anni, nell’ultimo decennio l’Italia ha perso 1 milione e 100mila giovani, mentre gli ultra65enni costituiscono il 22% della popolazione, facendo dell’Italia il Paese più vecchio della vecchia Europa. Nel 2016 si è registrato un nuovo record negativo delle nascite.

Tornando ai giovani, anche se diminuiscono come numero continuano ad avere forti difficoltà d’inserimento nel mercato del lavoro; anche per questo, tra gli under 35, ben 7 su 10 vivono ancora con i genitori.
Se poi guardiamo ai giovani tra i 15 e i 29 anni, quelli che non lavorano, non studiano e non seguono alcun corso di formazione sono il 24%, un dato lievemente migliorato rispetto al passato, ma che ci conferma all’ultimo posto nell’Unione europea, dove la media è del 14%, dieci punti in meno.

Sempre secondo l’Istat, le imprese che riescono a sopravvivere alla crisi lo fanno grazie alla capacità di esportare. Ma se la società italiana invecchia, lo stesso avviene anche ai vertici delle aziende, dove ci sono pochi giovani e pochissime donne.

Abbiamo visto la nuova fotografia della società italiana, con molti cambiamenti ma anche con gli ascensori bloccati, per cui è difficile fare il salto per chi parte dalle classi più basse. E i giovani arrancano o spariscono. Vi sorprende questo quadro?

Secondo il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, «l’Italia ha consolidato il processo di ripresa iniziato nel 2015», tuttavia «nella fase di ripresa attuale il processo di crescita stenta ad affermarsi pienamente». Cosa significa? Non possiamo permetterci il lusso dell’ottimismo?

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